Il vcommerce, sempre più popolare, sopratutto in Australia, sostituirà l’ecommerce: è quasi un dato di fatto. Secondo il report di Versa Voice, società australiana, tre quarti dei possessori di smart speakers, o assistenti vocali, utilizzano già i loro dispositivi per acquisti online o si dichiarano disposti a farlo. Per darvi un’idea, questa cifra equivale a 6 milioni di australiani.
Come siamo arrivati a questo? Gli smart speakers sono presenti sul mercato da circa cinque anni, durante i quali sono stati venduti 100 milioni di dispositivi Alexa e 52 milioni di Google Home, e allo stesso tempo è aumentata la fiducia dei consumatori nei confronti degli acquisti in vcommerce. Di consegienza, secondo TechCrunch, il voice shopping raggiungerà un totale di 40 miliardi di dollari americani negli Stati Uniti e nel Regno Unito entro il 2022.
Kath Blackham, amministratore delegato di Versa, ha detto che ha visto giganti come Woolies e Coles darsi da fare per attivare le funzioni di compilazione di liste della spesa e consegna a domicilio. Woolies è stato uno dei pionieri dello shopping vocale, insieme a Domino’s, Village Roadshow e Flight Centre. La Blackham afferma che i comandi vocali sono stati introdotti solamente da circa 18 mesi, ci vuole quindi tempo prima che gli altri rivenditori adottino il vcommerce.
John Batistich, direttore non esecutivo di Zip Co, General Pants Group e Foodco, ha affermato che quando si tratta di voice shopping, gli utenti apprezzano la praticità dell’avere le mani libere che permette loro di svolgere più attività.
I consumatori sarebbero più interessati ad acquisti poco impegnativi come biglietti del cinema, consegna a domicilio di spesa o libri. Al contrario gli acquisti più complicati come capi d’abbigliamento, elettrodomestici, articoli per la casa e prenotazione di hotel restano elementi che i consumatori non sono ancora convinti di voler acquistare tramite voce.
Il comando vocale è stato accolto positivamente dai millennial e dalla z generation, ma un’altra fascia ad aver accettato positivamente il vcommerce è la generazione dei baby boomer, secondo le ricerche di Versa. Questo perchè i baby boomers sono una generazione che a malapena si è avvicinata a Internet, per i quali lo schermo del cellulare è troppo piccolo. La voce resta per loro un metodo più comodo e familiare per gli acquisti online.
Ma come tante altre nuove tecnologie la domanda che si fa il consumatore è “ne sentivo davvero la necessità?” Il report di Versa ha messo in luce come la barriera più grande per l’introduzione del vcommerce sia la mancanza di necessità, infatti il 77% afferma di non sentire il bisogno della funzione vcommerce.
Oltre alle barriere, ci sono anche alcune preoccupazioni. Secondo la Blackham, la più grande paura dei consumatori è la violazione della privacy, il fatto che gli smart speakers possano ascoltare le loro conversazioni. Ma queste preoccupazioni siano infondate: anche gli smartphone sono dotati di microfoni in grado di ascoltarli.
Quelli che dovrebbero preoccuparsi seriamente, secondo Blackham, sono i retailer, il rischio per loro è quello di rimanere tagliati fuori da un mercato in espansione. I retailer dovrebbero mettersi al più presto a collaborare con specialisti di voice experience per sperimentare la progettazione conversazionale e i casi d’utilizzo, per comprendere gli algoritmi utilizzati dalle piattaforme per raccomandare e scegliere i prodotti con l’obiettivo di costruire e riprodurre performance vincenti per il loro brand.
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